Cinquant’anni fa veniva massacrato a colpi di chiave inglese dagli estemisti rossi per aver criticato le Brigate Rosse in un tema scolastico: adesso la sua Storia è conosciuta in tutta Europa
La storia di Sergio Ramelli, vittima dell’odio rosso, è stata a lungo tempo silenziata. Finalmente, oggi, supera i confini nazionali e nel Parlamento Europeo, grazie a Fratelli d’Italia e al gruppo Ecr, nel cinquantesimo anno dalla sua brutale uccisione, gli viene dedicata una mostra. Un momento estremamente importante: Sergio, non ti scorderemo mai.
I tavoli della mostra
Sergio Ramelli è ormai da considerare non più solo il martire di un partito politico o di una generazione di militanti, ma il simbolo di chi ha il coraggio di esprimere liberamente le proprie idee, opponendosi all’omologazione culturale e ai dogmi del politicamente corretto. Questo spiega perché la sua memoria è ormai andata oltre i confini di Milano, diventando un patrimonio della memoria nazionale, giustamente definito come “figlio d’Italia”.
Questa mostra, inaugurata al Parlamento europeo a Bruxelles martedì 20 maggio 2025, fa parte di una serie di iniziative organizzate in occasione del 50esimo anniversario della morte di Sergio Ramelli, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico non solo nel ricordo ma anche nella condivisione dei valori incarnati dalla tragica storia di Sergio: coraggio, coerenza e amore per la libertà.
Chi era Sergio
Sergio era un ragazzo come tanti, con gusti, abitudini e pensieri simili a quelli di tutti i suoi coetanei ma con una fondamentale differenza: quella di aver fatto una scelta di campo scomoda, di avere idee non conformi e il coraggio di affermarle.
“Nelle assemblee studentesche alle quali andava non si parlava mai dei problemi della scuola. Credo che Sergio sia diventato di destra proprio perché aveva capito che c’erano troppe discriminazioni. Non poteva accettare quel clima”, Anita, mamma Ramelli.
Le sue passioni
Come tutti i ragazzi della sua età – 18 anni – Sergio amava divertirsi, andare in motorino, giocare a calcio, seguire la sua squadra del cuore, ascoltare musica, frequentava la parrocchia aiutando in oratorio. E aveva una ragazza… che, come lui, frequentava il Fronte della Gioventù e che lui aveva già presentato alla sua famiglia.
“Ogni sera andavi a dormire pensando a quello a cui saresti andato incontro l’indomani mattina. Ogni mattina uscivi da casa chiedendoti che cosa dovevi aspettarti varcando l’ingresso della tua scuola. Può un ragazzo appena diciottenne dover affrontare una cosa simile, giorno dopo giorno, per settimane, mesi?”, Giuseppe Culicchia, ‘Uccidere un fascista’.
La sua scuola
“Consideriamo che è andato al Molinari, che era una fabbrica di delinquenti… Era una delle scuole più rosse di Milano, un giorno sì e un giorno no c’erano i picchetti e Sergio era un ragazzo che voleva studiare e prese delle posizioni che allora non venivano accettate, cioè voler entrare nonostante il picchetto davanti alla scuola per seguire ugualmente le lezioni”, Anna Boni, ex compagna di scuola di Sergio.
“Ricordo che una mattina tornò tutto sporco, ma a me disse solamente: ‘C’erano delle scritte e hanno voluto che le cancellassi’. Non voleva allarmarci, metterci in apprensione. Seppi solo dopo ho scoperto che lo avevano fotografato”, Anita, mamma Ramelli.
Il tema maledetto
Un giorno, “nella bacheca del grande atrio del Molinari compaiono due fogli di protocollo affissi con le puntine. Sopra c’è una scritta rossa: ‘Ecco il tema di un fascista’. Il testo è pieno di sottolineature rosse. Per Sergio stanno per aprirsi le porte dell’inferno”, Nicola Rao, ‘Il tempo delle chiavi’.
“Sergio parlò delle Brigate Rosse che, a quei tempi, avevano appena cominciato a colpire. Un ragazzo, che aveva l’incarico di portare i temi al professore fu, invece, bloccato nel corridoio dai soliti capetti di Avanguardia Operaia che gli portarono via proprio il tema di Sergio. Il tema fu appeso in bacheca con l’accusa, naturalmente, di essere ‘fascista’”, Anita, mamma Ramelli.
Schedato e seguito
“In un paese democratico con organi giudiziari e di polizia preposti a far rispettare le leggi, si è mossa una sorta di polizia politica ed etica parallela, completamente illegale che fermava le persone per strada, le interrogava, le perquisiva, sequestrava loro foto e documenti personali, le fotografava e filmava, le pedinava, le intercettava…”, Nicola Rao ‘Il tempo delle chiavi’.
“Nell’archivio logistico di Avanguardia Operaia è stata rinvenuta una mole impressionante di materiale: migliaia di schede, fotografie, annotazioni dovute ad appostamenti con studio di abitudini e indicazioni di targhe, descrizioni di bar e locali pubblici nonché di sedi politiche, agendine, tessere di partito, documenti di identità, provento di numerose aggressioni anche con conseguenze molto gravi ai danni di giovani di destra”, le parole dei Magistrati che hanno seguito il processo.
Agguato premeditato
La decisione presa dagli estremisti di sinistra è quella “di incaricare la squadra di Medicina di ‘andare a picchiare un fascio’. Grassi (compagno di scuola di Sergio) fornisce alla squadra una fotografia di Ramelli, dato che il giovane era totalmente sconosciuto. Il gruppo si ritrova all’ora stabilita, vengono distribuite fra tutti le chiavi inglesi. La scelta dell’aggressione all’avversario politico non suscita alcun dissenso di principio nei membri della squadra, alcun dibattito interno”, le parole dei magistrati che hanno seguito il processo.
“E così anche tu Sergio, in quanto ‘fascio’, diventasti non soltanto un obiettivo legittimo, ma letteralmente una non-persona. Una non-persona che per via delle sue idee non aveva diritto di studiare, di andare a scuola e neppure di uscire di casa o di frequentare un certo bar. Una non-persona che, per via delle sue idee che la rendevano altra cosa da un essere umano, poteva, anzi doveva, essere perseguitata, schiacciata, eliminata”, Giuseppe Culicchia, ‘Uccidere un fascista’.
Una violenza assurda
“Il 13 marzo 1975, verso le ore 13.00, Sergio stava appoggiando il motorino poco oltre l’angolo con via Paladini nei pressi della sua abitazione. Veniva aggredito da alcuni giovani armati di chiavi inglesi: il ragazzo, dopo aver tentato disperatamente di difendersi proteggendosi il capo con le mani e urlando, veniva colpito più volte e lasciato a terra esanime”, dal rapporto di aggressione.
“Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e io posso colpirlo al viso. Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino tra i piedi e inciampa. Io cado con lui, lo colpisco un’altra volta. Non so dove”, Marco Costa, uno degli assassini di Sergio.
Giorni di agonia
“Le condizioni di Sergio Ramelli, lo studente diciannovenne studente bestialmente aggredito ieri da due estremisti di sinistra armati di chiave inglese, sono stazionarie. Il ragazzo è stato sottoposto al Policlinico a un intervento chirurgico di cinque ore, nel corso del quale i medici gli hanno ricostruito una parte della calotta cranica e della membrana cervicale. Al termine Sergio Ramelli è stato trasportato nel reparto di rianimazione con prognosi riservatissima. Ora è in coma profondo”, la Notte, 14 marzo 1975.
Quando il consigliere del MSI, Tomaso Staiti Di Cuddia, citò in Consiglio comunale la sua aggressione, da parte di estremisti di sinistra nel pubblico si levarono grida e applausi.
“Non dimenticherò mai per tutta la vita quando l’hanno portato all’ospedale. Gli amici di Sergio non potevano nemmeno andare a trovarlo perché i rossi erano sempre lì davanti”, Anita, mamma Ramelli.
La morte di Sergio
“Sergio Ramelli, operato di rimozione dei frammenti ossei e di revisione del focolaio lacerocontusivo. Decorso postoperatorio caratterizzato dal progressivo miglioramento dello stato neurologico sino alla ripresa della coscienza con parziale deficit neurologico. La tredicesima giornata sono insorte complicanze broncopolmonari tipo polmonite massiva bilaterale fino all’exitus, avvenuto per collasso circolatorio alle 10 del 29 aprile 1975”, il bollettino ospedaliero.
“Ho sperato fino all’ultima notte, quando aveva 39 di febbre e faticava a respirare… Avrei voluto afferrarlo e portarlo a casa. Infine, l’ho visto sul marmo gelido dell’obitorio, con quel grosso buco sulla testa”, Anita, mamma Ramelli.
Il funerale vietato
“Per noi il funerale è un corteo non autorizzata e questa è un’adunata sediziosa. O la sciogliete, oppure siamo costretti a caricare. Abbiamo degli ordini precisi e dobbiamo farli rispettare”, funzionario di Polizia di fronte all’obitorio.
“Nel ricordare il sacrificio di Sergio Ramelli, fedele all’impegno politico di civiltà contro la barbarie, non pronuncia parole di vendetta o di incitamento all’odio ma, proprio in nome del suo martirio, rinnova l’invito a battersi con coraggio per la giustizia, per libertà, per l’ordine, per la sicurezza, per la pacificazione fra tutti i cittadini senza discriminazioni”, dal comunicato stampa del Movimento sociale italiano.
Mentre la Polizia impedisce il corteo funebre, dalle aule della facoltà di Medicina che si affacciano sull’obitorio gli estremisti fotografano i presenti.
Una continua persecuzione
“Non hanno avuto pietà per noi, nemmeno dopo la morte di Sergio. Telefonate a tutte le ore del giorno e della notte: ci dicevano le cose più terribili. La sera stessa della sua morte squillò il telefono e una voce disse: ‘Farete la stessa fine'”, Anita, mamma Ramelli.
“Un giorno Luigi, il fratello, davanti al portone di casa ha trovato ad aspettarlo dei rossi. È scappato su per le scale perdendo anche il portafogli, mentre quelli gridavano: ‘Hai quarantott’ore di tempo per scappare, se non vuoi fare la stessa fine di tuo fratello'”, Anita, mamma Ramelli.
Ricostruire la verità
Dopo l’aggressione del 13 marzo la Polizia non riuscì ad identificare gli aggressori, pur effettuando qualche indagine nell’ambiente degli extraparlamentari di sinistra del Molinari e del quartiere.
Inizialmente, le indagini si incepparono su alcuni depistaggi. Si arrivò poi ad individuare la responsabilità del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia di Città Studi, studenti di Medicina arrestati il 14 settembre 1985 in seguito dopo la confessione di una “staffetta”.
La notizia dell’ondata di arresti scatenò immediate reazioni su tutta la stampa nazionale generando una sorta di liberazione da un incubo che indusse molti “cattivi maestri” del tempo a compiere una timida autocritica: sempre molto parziale, ma in ogni caso importante.
“Non ho mai guardato in faccia gli assassini, gli assassini non mi hanno mai parlato. Nell’ultima lettera che mi scrissero dicevano che mi stimavano e mi capivano: io però non credo a certi pentimenti postumi, troppo facile scrivermi solo dopo che sono stati scoperti”, Anita, mamma Ramelli.
Le fasi del processo
16.03.1987 – Corte D’Assise
La prima sentenza, tredici anni dopo l’assassinio, dichiara tutti gli imputati colpevoli di omicidio preterintenzionale.
2.03.1989 – Corte d’Assise d’appello.
In secondo grado le pene vengono tutte ridotte: la sentenza di omicidio volontario “con dolo eventuale” per due imputati e di solo “concorso anomalo” per gli altri.
23.01.1990 – Cassazione
La sentenza definitiva rigetta tutti i ricorsi degli imputati, stabilendo che la morte, come conseguenza dell’attacco, fosse una possibilità conosciuta e accettata da tutti, anche a causa del loro “fanatismo ideologico”.
Dopo la sentenza definitiva, del gruppo che assassinò Sergio Ramelli solo i due che lo avevano colpito (Costa e Ferrari Bravo) tornarono in carcere scontando ancora un breve periodo di detenzione. Tutti gli altri riuscirono a evitare la prigione.
Mamma Ramelli Anita
Durante il processo, la famiglia di Sergio venne rappresentata dall’avvocato Ignazio La Russa, ora presidente del Senato della Repubblica. Per tutta la sua vita, Anita, “Mamma Ramelli”, ha lottato per ottenere la verità su quel terribile omicidio e ha tramandato la storia di Sergio fino all’ultimo giorno.
“È già quasi mezzanotte quando dietro il portone di vetro si accende la luce della scala e compare una figura di donna minuta, con gli occhiali. Esce e si ferma tra noi. Ha il volto scavato dal dolore. Stringe qualche mano, poi scoppia in lacrime. ‘Grazie ragazzi, grazie per tutto quello che state facendo'”, Leo Siegel, in “Candido”, parla di Mamma Ramelli.
50 anni di memoria
Il ricordo di Sergio Ramelli è un impegno che da cinquant’anni continua costantemente in tutta Italia: libri, spettacoli teatrali, documentari, canzoni, podcast e trasmissioni televisive hanno tenuto accesa la luce sulla sua storia.
Tanto è stato fatto anche all’interno delle Istituzioni: ad oggi, quasi cinquanta città italiane hanno una strada o un giardino intitolato a Sergio Ramelli.
Dal 2007 anche l’ITIS Molinari, la scuola dove ha avuto inizio il suo calvario, è presente una targa in suo ricordo. Proprio il 13 marzo 2025, nel cinquantesimo anniversario dell’aggressione, è stata inaugurata la versione più recente alla presenza del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e del sottosegretario Paola Frassinetti.
Lo stesso giorno a Milano, alla presenza della sorella Simona Ramelli, è stato poi presentato il francobollo ufficiale emesso da Poste Italiane e fortemente voluto dal Ministro del Made in Italy, Adolfo Urso.
Una ferita che piano piano si ricuce, nonostante ancora oggi c’è chi vorrebbe impedire il ricordo di un ragazzo innocente ucciso per le sue idee.
Perché non accada mai più
Ricordare Sergio Ramelli, un ragazzo innocente ucciso solo per le sue idee, significa affermare un principio imprescindibile della democrazia: il confronto politico non deve mai sprofondare nel vortice della violenza.
Ancora oggi, nel 2025, l’Europa sta tornando a conoscere toni, slogan e simboli sempre più preoccupanti, che credevamo confinati in un’epoca superata. Il compito di chi crede davvero nella democrazia è costruire un futuro in cui storie come quella di Sergio non possano più accadere.
Un futuro in cui alla violenza che uccide si preferisca il dibattito che arricchisce. Un futuro in cui tutti sappiano distinguere tra il Bene e il Male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Un futuro davvero democratico e libero, in cui il nome di Sergio Ramelli – dopo tanto odio – unisca davvero tutti nella costruzione di una convivenza pacifica. Solo così, alla fine, gli avremo reso giustizia.
Il ricordo di Sergio in tutta Europa
Il ricordo della tragica storia di Sergio è ormai emerso dagli angusti confini di Milano e anche da quelli nazionali diventando un patrimonio condiviso di identità di memoria europea: Polonia e Spagna hanno aperto la strada con pubblicazioni, presentazioni ed eventi.
L’edizione polacca del libro ‘Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura’, pubblicato da Capital Book di Varsavia con il titolo ‘Historia, kóra nadal wzbudza strach’ è stata presentata per la prima volta a 13 novembre 2021, nell’ambito del ‘Independence Forum’, un evento che accompagna la grande Marcia dell’Indipendenza (un evento annuale cui partecipano centinaia di migliaia di polacchi).
Poi, il 13 marzo 2022, c’è stata la presentazione in Italia (insieme alla IX edizione della versione italiana), al Teatro Odeon di Milano.
Altre presentazioni del volume hanno avuto luogo tra il 2022 e il 2023 su due canali televisivi, nell’ambito di altrettante conferenze storiche a Varsavia e Kalisz), sempre grazie al dott. Sylwia Mazurek, editore dell’edizione polacca e autore della prefazione.
Nel 2022 è stata prodotta un’edizione spagnola, pubblicata dalla SND Editores di Madrid, dal titolo: ‘Sergio Ramelli, victima del odio comunista’. La prima presentazione ha avuto luogo nella libreria madrilena Tercios Vejos, con l’editore, Alvaro Romero, e il giornalista Alvaro Peñas. È stata seguita da altre due, anch’esse organizzate dal l’editore, a Logroño e a Santander, sempre nel 2022.
Nel frattempo era nata anche l’edizione spagnola del fumetto, con il titolo “Sergio Ramelli, quando assassinar a un fascista no era delito”, presentato a Saragozza il 17 giugno 2017, nell’ambito della manifestazione “Primavera Aragonesa” organizzato dall’Asociación Cultural In Memoriam Juan Ignacio.



