L’ex segretario del PDS sfila accanto a Xi Jinping, Kim Jong-un e altri nemici dell’Occidente. Nel silenzio del Pd
Pechino, 3 settembre 2025: il regime di Pechino celebra l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale con una parata militare con tanto di foto di gruppo finale. Sul palco uno accanto all’altro una sfilza di autocrati accomunati dall’avversità – per usare un eufemismo – verso l’Occidente: ovviamente il padrone di casa Xi Jinping, e accanto a lui il nordcoreano Kim Jong-un, il bielorusso Lukashenko, l’iraniano Masoud Pezeshkian, il birmano Min Aung Hlaing, fino al russo Putin. E in alto a destra un volto noto agli italiani, un personaggio la cui carriera politica è archiviata, ma che resta un simbolo della sinistra nel nostro Paese: l’ex segretario del PDS Massimo D’Alema.
Non soddisfatto dal semplice invito proveniente da Pechino, il fu “lìder Maximo” del post-comunismo italiano ha rilasciato dichiarazioni ai media. Commemorative dell’anniversario, ma con una chiosa finale che ha il sapore del paradosso: “Viviamo un momento difficile nelle relazioni internazionali – ha affermato l’ex presidente del Consiglio – e io spero e confido che qui da Pechino venga un messaggio per la pace e per la cooperazione e per il ritorno ad uno spirito di amicizia tra tutti i popoli e per porre fine alle guerre che purtroppo insanguinano, in modo così tragico, diversi Paesi del mondo”.
Parole sulla carta condivisibili: peccato che le abbia pronunciate noncurante del contorno della cerimonia: l’ostentazione della forza bellica – persino nucleare – della Cina. Ostentazione ribadita senza tanti giri di parole dal lancio dell’agenzia di stampa del regime di Pechino, come ha ricordato oggi Daniele Capezzone su «Libero»: “Una dotazione militare che renderebbe possibile conquistare Taiwan anche con la forza”. Un’immagine, quella di D’Alema a parlar di pace tra autocati e razzi nucleari cinesi, che è stata stigmatizzata da Fratelli d’Italia, così come da altri esponenti del centrodestra e del centro.
Due le domande che nascono spontanee: perché D’Alema era tra gli invitati selezionati dal regime di Xi Jinping? Perché dalla sinistra italiana, salvo un paio di timide prese di distanza personali, non è pervenuta una parola di biasimo per la presenza di un suo storico punto di riferimento in piazza Tienanmen? Per provare a dare una risposta alla prima domanda vale la pena ricordare che D’Alema non ha mai nascosto la sua “simpatia” verso uno spostamento a est degli assi commerciali. Per quanto riguarda la seconda domanda, invece al silenzio del Pd si affianca la difesa di esponenti del Movimento 5 Stelle, storicamente vicini a Pechino. La strana alleanza Pd-M5S si regge anche su questo.