La missione del Copasir in Terrasanta: come ho trovato Israele? Un paese ancora sotto shock, duramente provato che chiede la fine del terrorismo ad ogni costo
Di Erika Pontini
“Come non andare con la mente al desiderio di una mamma gravemente malata che vorrebbe riabbracciare sua figlia Noa, la ragazza israeliana divenuta drammatico simbolo dell’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas ancora in mano ai rapitori”. La foto della ventiseienne mentre viene trascinata via ha fatto il giro del mondo. Sua zia, come altri familiari dei circa 130 ostaggi, ha rivolto il suo accorato appello ai parlamentari italiani.
“È stato il momento più drammatico della nostra missione, un cazzotto al cuore: le famiglie degli ostaggi sono pronte a fare qualsiasi cosa per riuscire a liberarli, compreso lo scambio con i detenuti nelle carceri israeliane, ma convinti anche loro, come il resto della popolazione, di voler andare fino in fondo per garantire la sicurezza dello Stato», spiega Donzelli. «Abbiamo incontrato anche i superstiti del kibbutz di Far Aza, abbiamo visto le case crivellate di colpi. L’attacco, ci hanno raccontato, venne effettuato a ondate. Dopo i miliziani parteciparono alle devastazioni anche i civili assetati di vendetta”.
Come sapevano che non erano miliziani?
«Non erano armati, non erano in divisa, sono arrivati dopo che Hamas aveva aperto il varco con Gaza».
Perché proprio in questo momento il Copasir ha effettuato la visita in Medioriente?
«È importante confrontarsi con le autorità nazionali israeliane e palestinesi, come rappresentanza del Parlamento italiano. Il presidente Guerrini ha ritenuto fosse utile avviare una verifica e dare un contributo per la descalation di Gaza e del Medioriente».
Chi avete incontrato?
«La commissione esteri e difesa del parlamento di Israele, i rappresentanti dell’opposizione, i vertici dei servizi israeliani e palestinesi, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Ibrahim Faltas, vicario della custodia in Terra Santa».
E dalla parte palestinese quali sono le richieste?
«È fortissima quella del cessate il fuoco. I colloqui si sono svolti a Ramallah. Non abbiamo incontrato i civili ma le autorità e scoperto sensibilità diverse. Qualcuno condanna in modo netto l’attentato del 7 ottobre, altri non riescono a condannarlo, anche se tutti prendono le distanze da Hamas e offrono disponibilità per trovare soluzioni, ma pongono come necessità fondamentale il riconoscimento della Palestina come Stato per affrontare qualsiasi dialogo».
Anche il governo italiano si è espresso in tal senso: due stati per due popoli…
«Noi da qui, lontani dalle bombe, lontani dall’orrore, lontani dagli odii, riusciamo con facilità a capire che l’unica soluzione possibile è quella di due stati e due popoli ma lì sono in guerra e da entrambi le parti è difficile comprenderlo».
Dopo gli attacchi massicci nella Striscia anche la comunità internazionale si è mossa. A Gaza i bimbi muoiono di fame…
«Gli israeliani ripetono che vogliono aiutare i civili, ma non hanno intenzione di derogare un centimetro rispetto all’annientamento di Hamas. Non è una loro volontà colpire la gente, ma sono determinati ad andare fino in fondo. Anche quando abbiamo incontrato i rappresentanti dell’opposizione in parlamento, anche di sinistra, la critica al governo è quella di aver fallito all’inizio e di essere troppo morbido adesso. Ritengono che l’autonomia lasciata alla Palestina si sia rivolta contro di loro. Temono in sostanza che ulteriori concessioni possa comportare ulteriori attacchi».
Negli Stati Uniti si parla anche di elezioni anticipate in Israele….
«Non abbiamo percepito questa richiesta e non sono certo che una campagna elettorale adesso possa ammorbidire la situazione. Potrebbero prevalere i falchi. E ricordiamo che Israele è una democrazia sovrana».
Ma la popolazione palestinese come la pensa, cosa avete percepito?
«Oggi anche a Gaza, ci è stato riferito, la popolazione prende le distanze da Hamas che un tempo aveva consensi altissimi. In Cisgiordania è ancora così: se si andasse al voto vincerebbe Hamas».
Egitto e Unione Europea hanno chiesto di fermare gli attacchi su Rafah…
«C’è la volontà di rispettare il Ramadan ma la determinazione di sconfiggere Hamas è alta, e tutto quello che comporta, anche rispetto alle istanze internazionali, sono pronti ad affrontarlo ma fare operazioni chirurgiche nei fatti non è facile perché i terroristi si fanno scudo dei civili».
Eppure a Gaza ci sono stati trentamila morti…
«Le immagini che ci arrivano ci colpiscono, per noi che stiamo qui in pace è giusto chiedere il rispetto dei diritti umanitari e non superare limiti che sarebbero invalicabili».
Gioca un ruolo anche un’autorità palestinese così debole…
«Alcuni se ne rendono conto. L’autorità palestinese non ama Hamas ma non può cedere troppo a Israele perché altrimenti perderebbe ulteriore consenso».
Dalla sua testimonianza sembra che la pace sia ancora troppo lontana…
«L’impressione che ho percepito è che sia difficile riuscire far parlare i leader verso soluzioni di pace quando l’opinione pubblica, da entrambe le parti, è più estremista di chi li governa».
Il 7 ottobre si è verificata la più grande falla dei sistemi di intelligence occidentali. E’ un tema, anche in Italia?
«In Israele lo shock è dato non solo da non aver previsto l’attacco, ma anche da non aver saputo reagire subito. Sono passate, 6,7 fino a 8 ore prima di tornare in sicurezza. I nostri servizi sono comunque molto efficienti e sono calibrati su quelle che sono le emergenze che possono accadere in Italia».
In Italia stanno crescendo le manifestazioni per la causa palestinese, fino alle contestazioni recenti nelle università. Lo stesso ministro Piantedosi rileva l’aumento di un sentimento antisemita. Segnali preoccupanti?
«C’è uno strisciante antisemitismo che troppe volte si nasconde dietro il sostegno umanitario alla causa palestinese e c’è chi usa la vicenda per alzare la tensione. Anche chi la pensa diversamente da me, come il direttore di Repubblica Molinari, deve avere la possibilità di parlare. Non consentiremo a collettivi e centri sociali di decidere chi può e chi non può esprimersi».
In Italia la causa palestinese fa molto proseliti. Cosa è cambiato dall’epoca del Lodo Moro?
«Il governo italiano sta tenendo posizione di grande equilibrio ed è impegnato per una soluzione pacifica sullo sfondo del concetto di due popoli e due stati. A livello internazionale siamo riconosciuti per autorevolezza e equilibrio. Giorgia Meloni ha iniziato un dialogo importante con tutte le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo allargato, con i paesi arabi moderati per avere un ruolo importante verso un futuro di pace».
E quando sarà?
«Speriamo il prima possibile».