Nel carcere di San Gimignano primo caso di processo per reato di tortura. Agenti costretti a lavorare in condizioni assurde
Un trasferimento coatto di un detenuto da un reparto a un altro per motivi disciplinari costerà il processo a 5 agenti di polizia penitenziaria. I fatti avvennero l’11 ottobre 2018 nel carcere di Ranza, a San Gimignano: è la prima volta che delle guardie carcerarie finiscono sotto processo per il reato di tortura.
Nessuno vuole entrare nel merito del processo sul quale si esprimeranno i giudici. Ma il reato di tortura è una legge che prevede l’incriminazione delle nostre forze dell’ordine anche in casi del tutto ingiusti.
Da tempo Fratelli d’Italia chiede l’abolizione del reato di tortura. Gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto organico, senza dotazioni e sottopagati. Per di più sono costretti ad agire da anni in una situazione di grave di sovraffollamento delle carceri. Lavorano per garantire la sicurezza di tutti ed è grottesco che debbano finire a processo e rischiare loro di subire condanne.
La vittima, secondo le ipotesi dell’accusa, sarebbe stata minacciata e terrorizzata. I fatti sul reato di tortura saranno accertati dal processo, ma è giusto che un agente di polizia rischi la vita e pure un processo se dice parole di troppo per applicare la giustizia?
Sono passati tre anni da quando è entrato in vigore in Italia il reato di tortura (art. 613-bis) e istigazione alla tortura (art. 613-ter). Il processo si celebrerà dopo che il gup di Siena ha rinviato a giudizio i cinque agenti di polizia penitenziaria.
Lo Stato protegga i suoi uomini in divisa
“A prescindere dal merito del procedimento penale” è “il primo effetto di una legge vergognosa contro le Forze dell’Ordine”, ha detto Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia.
“Non certamente perché siamo contrari a punire le torture, ma poiché riteniamo che questa norma sia stata ideata per trasformare in tortura altre condotte illecite e perfino molte altre che non lo sarebbero affatto”, ha aggiunto.
“Violenze anche gravi ai danni degli uomini e delle donne in divisa non vengono spesso punite neanche con un solo giorno di carcere”, ha spiegato Cirielli. “Aver previsto anche per presunte violenze psichiche pene folli e sproporzionate per il nostro ordinamento, nonché” il reato di tortura, “rappresenta una vergogna istituzionale verso i servitori dallo Stato in divisa”.