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Ecco perché il vescovo di Spoleto ha attaccato il governo per la sostituzione del commissario post terremoto Legnini

Legnini pd vescovo

Capezzone su La Verità svela i motivi della reazione del presule

Ci sono 42 milioni di motivi per cui il vescovo di Spoleto-Norcia si è scagliato contro il governo per la sostituzione di Giovanni Legnini, commissario per la ricostruzione post terremoto nel centro Italia. 42 milioni, come gli euro che l’Arcidiocesi presieduta da monsignor Boccardo ha ricevuto dalla struttura guidata da Legnini alla vigilia del passaggio di consegne ai vertici del commissariato. Un contributo fuori dall’ordinario, sia per l’importo che per la tempistica, come ha fatto notare Daniele Capezzone su La Verità. Di fronte a tanta generosità è comprensibile la riconoscenza, ma fino a definire la decisione del governo “uno schiaffo ai terremotati” pare un po’ troppo.

Giovanni Legnini “santo subito”?

Chiariamolo subito: l’ex commissario straordinario per la ricostruzione post terremoto Legnini, difeso a spada tratta dal vescovo, non è un tecnico chiamato a rivestire un incarico di grande rilevanza, ma un illustre esponente della sinistra che ha attraversato tutte le stagioni – dal Pci al Pd – rivestendo incarichi di tutto rilievo: sindaco, parlamentare, sottosegretario, vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura (ovviamente in quota Pd). Una carriera non sempre suggellata da vittorie, come nel 2018, quando è stato sconfitto dal candidato del centrodestra Marco Marsilio alle Regionali in Abruzzo. Una sconfitta che tuttavia gli è valsa la compensazione, entrando nel pacchetto delle nomine del governo giallorosso in qualità di commissario alla ricostruzione. Incarico che Legnini ha ricoperto sino a pochi giorni fa e che gli ha dato la possibilità di gratificare altri esponenti del Pd: (deputati, amministratori e dirigenti di partito), come ricordato puntualmente Il Foglio qui.

Legnini e il “sistema Palamara”

Non solo. Legnini è stato vicepresidente del CSM proprio negli anni dell’esplosione del “sistema Palamara”, caratterizzato dalla spartizione delle nomine di vertice della magistratura. Non una semplice contemporaneità: lo stesso Palamara, come ricorda ancora Il Foglio, ha messo nero su bianco che Legnini “ha condiviso ogni passo, ogni singola nomina, tutte le strategie e la linea politica”. Alla faccia dei meriti di Legnini di cui parla il Pd nell’attaccare il governo Meloni sulla sua sostituzione con Guido Castelli.

Perdono e vorrebbero continuare a comandare

Un coro, quello del “Legnini santo subito”, che non ha ragione di essere. Il commissario per la ricostrizione post terremoto si è concentrato più sulle consulenze che sugli interventi che il centro Italia necessita. E, più in generale, non ha ragione di essere la sollevazione contro le recenti nomine del governo Meloni (qui la mia intervista a Il Giornale). Nonostante non vinca un elezione politica dal 2006, il centrosinistra ha continuato imperterrito a dare le carte in nome della solita, immotivata presunzione di superiorità, assegnando poltrone agli amici, spesso per ricompensarli dopo sconfitte elettorali. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. L’approccio che il governo Meloni ha scelto è opposto: non guardare alla tessera di partito ma alla comprovata competenza e alla coerenza con la linea del governo. Giorgia Meloni ci mette la faccia, e certamente non vorrà perdercela solo per gratificare qualcuno.