La lotta alla mafia si può fare ogni giorno in ogni parte d’Italia. Basta non girarsi dall’altra parte davanti a sopraffazioni e ingiustizie, rispettare i doveri, oltre a pretendere diritti, le leggi e evitare di cercare scorciatoie
Di Francesca Aglieri Rinella
Quanto è importante parlare di mafia che non è solo quella intesa come criminalità organizzata, ma anche come modello culturale disfunzionale diffuso?
«La lotta alla mafia è un modo di essere, una ragione di vita. La nostra generazione, come ha raccontato più volte Giorgia Meloni, si è avvicinata alla politica con la spinta emotiva delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Essendo nato e cresciuto a Firenze, aggiungo anche la bomba ai Georgofili. Da sempre partecipiamo, insieme ai nostri ragazzi di Gioventù Nazionale, alla tradizionale fiaccolata per Borsellino a Palermo. Il 19 luglio è una data funesta per la nostra Nazione, che rappresenta una sconfitta contro la criminalità organizzata. Ma lo Stato non può e non deve arrendersi. Siamo orgogliosi del governo Meloni che nella lotta alla mafia non ha ceduto nemmeno un millimetro. A partire dall’ergastolo ostativo, che è stato il primo provvedimento assunto dal governo appena insediato, dall’impegno ai progetti di riqualificazione urbana nelle periferie, fino alla fermezza nei confronti di criminali come Cospito, che in galera tramava contro lo Stato insieme ai boss mafiosi. Siamo felici di aver fatto il nostro dovere».
Un tema prioritario quello della lotta alla mafia e un impegno della politica che non è solo in termini repressivi, ma soprattutto in tema di prevenzione…
«È fondamentale. E non è un caso che questa edizione di ‘Parlate di mafia’ sia incentrata sul contrasto e la prevenzione della criminalità, a partire dal disagio giovanile e dal recupero dei quartieri più periferici e svantaggiati. Come è fondamentale la ricerca della verità senza alcun pregiudizio. Abbiamo accolto con soddisfazione le parole della famiglia Borsellino che ha ringraziato il lavoro del presidente Chiara Colosimo, che ha dato per la prima volta alla famiglia la possibilità di parlare in Commissione Antimafia: non speculiamo su queste parole ma le accogliamo nel nostro cuore. La lotta alla mafia deve essere un tema non divisivo, deve coinvolgere tutte le forze politiche e deve essere tenuto al riparo da qualsiasi strumentalizzazione. Serve lavorare in silenzio per combattere a voce alta la mafia».
Con il Decreto Caivano il governo Meloni ha gettato le basi per contrastare la mafia partendo da sicurezza, periferie, dispersione scolastica e disagio giovanile…
«Quello che il governo ha fatto a Caivano è un modello di rinascita e di vittoria dello Stato sul crimine organizzato. Lo stiamo portando avanti senza sosta, lo faremo in tutte le Caivano d’Italia. Dobbiamo sfatare la mitizzazione di modelli criminali e soprattutto dimostrare che lo Stato c’è e non cede ai ricatti».
Quest’anno avete scelto Catania. Una città che è un modello sia in termini di regolamento per i beni confiscati (best practices voluta dalla giunta guidata da Salvo Pogliese e dall’ex assessore Michele Cristaldi e approvata dall’attuale Consiglio con Enrico Trantino Sindaco, ndr) che con l’iniziativa “Liberi di scegliere” portata avanti dal presidente del Tribunale per i minori Roberto Di Bella con cui il nostro quotidiano ha oltretutto firmato un protocollo sul giornalismo come strumento educativo…
«La mafia deve essere svuotata da qualsiasi attrazione che può esercitare, soprattutto sui giovani. La commissione di reati più o meno gravi da parte dei ragazzi può essere un primo passo per entrare in contatto con le organizzazioni criminali. Questo è ancora più vero in quelle zone in cui la malavita è più radicata, che, spesso, sono anche quelle in cui lo Stato è percepito come più lontano. L’incidenza della povertà educativa e dell’abbandono scolastico lo dimostrano. Per contrastare la mafia è necessario riportare lo Stato ovunque, senza zone franche. Com’è stato fatto a Caivano».