Ci sembra evidente come oggi, ora che finalmente torna la politica, con un nuovo assetto di stampo conservatore di centrodestra, si assista a una forte reazione. Che non ci spaventa né ci stupisce. Ma, anzi, ci motiva
di Paola Di Caro
L’impressione è che in Fratelli d’Italia si viva una sindrome d’assedio: siamo sotto attacco, restate compatti, è stato in sostanza il messaggio di Giorgia Meloni al suo partito. E Giovanni Donzelli, che ne è il responsabile dell’organizzazione e fa parte dell’inner circle della premier, conferma: «Ci sembra evidente come oggi, ora che finalmente torna la politica, con un nuovo assetto di stampo conservatore di centrodestra, si assista a una forte reazione. Che non ci spaventa né ci stupisce. Ma, anzi, ci motiva».
Scusi, ma una reazione di chi? L’opposizione non fa il suo mestiere?
«Non parlo solo del Pd con ciò che gli ruota attorno, e quindi della loro paura di perdere peso e posti, ma anche dei tanti che in anni di sospensione della politica si erano presi posizioni di potere, approfittando di vuoti».
Ma chi sarebbero questi personaggi?
«Lobbisti, gruppi di pressione economici potenti, tanti che hanno appunto occupato spazi di potere. E siccome a noi non interessa il potere per il potere, ma il bene della nazione, e vogliamo cambiare logiche consolidate avendo davanti una prospettiva di legislatura, facciamo paura».
Ma voi avete fatto le vostre nomine, in Rai molti lamentano addirittura l’occupazione: non basta per sentirsi in una botte di ferro?
«Ma noi non ci sentiamo mica deboli, non abbiamo la sindrome di Calimero. Le nomine sono sempre state fatte tenendo conto delle professionalità, comunque non cerchiamo alcun alibi. Siamo solo consapevoli che sono in atto e ci saranno ancora attacchi. Sapremo difenderci».
Non è che prestate il fianco, anche chiudendovi a guscio con una dirigenza «familistica»?
«Non siamo chiusi a riccio tra parenti e amici. Nel nostro partito hanno raggiunto posizioni di grande rilievo giovani come Andrea Moi, responsabile della comunicazione a 33 anni, o Sara Kelany, figlia di un immigrato, arrivata in Parlamento e oggi responsabile immigrazione per meriti politici. E ancora, Elena Chiorino che è responsabile lavoro perché da assessore regionale ha dimostrato qualità rare, o ancora Biondi, sindaco che sta ricostruendo L’Aquila, responsabile di tutti gli eletti. Così come altri 50 dirigenti con storie incredibili. E si parla solo di Arianna, sminuendo le sue storiche capacità e stravolgendo il racconto del ruolo che occupa».
Quando Meloni vi mette in guardia, pensate anche a un atteggiamento ostile da parte delle istituzioni europee?
«Non delle istituzioni: l’Europa sulle grandi tematiche dovrebbe essere compatta. Quando la premier Meloni va con Ursula von der Leyen in Tunisia per siglare un accordo — che ancora deve essere pienamente applicato — per fermare l’immigrazione clandestina, significa che ci muoviamo uniti, per il bene dei cittadini europei. Il problema non è la Ue come istituzione, ma sono la sinistra italiana e quella europea con il loro approccio ideologico: proprio oggi chiedono di boicottare quell’accordo, creando un danno all’Italia».
È un modo diverso per dire — come fa Salvini — che c’è un «piano» contro l’Italia?
«Sicuramente c’è una situazione molto drammatica in Africa, soprattutto nel Sahel. Ma non vogliamo ragionare tanto sulle cause, quanto sulle risposte. La difesa dei confini deve essere un problema dell’Europa, non solo dell’Italia».
Francia e Germania non sembrano propense ad aprire le loro frontiere.
«Diciamo che Francia e Germania erano abituate a governi italiani che facevano entrare immigrati e poi ne impedivano l’uscita. Noi invece diciamo che parlare di redistribuzione senza aver fermato i flussi dei clandestini non risolve nulla. Anche questo è uno schema costituito che vogliamo rompere».
Intanto a fianco di von der Leyen è arrivato Mario Draghi a lavorare sulla competitività: non lo sentite un po’ come un commissariamento del governo italiano?
«E perché mai? Anzi, dimostra quanto l’Italia conti: ci rafforziamo come nazione avendo in un ruolo di peso una persona autorevole come Draghi. Non lo abbiamo sostenuto al governo, ma non abbiamo mai messo in dubbio il suo valore».
Adesso vi si presenta lo scoglio di una manovra che non sarà facile, con risorse limitate. Temete di deludere le tante aspettative che avete creato?
«No, anche perché abbiamo già fatto molto in questo primo anno. Il Pil italiano cresce forse meno del previsto ma più di Germania e Francia, i dati Istat confermano il balzo dell’occupazione stabile. E già ci sono risultati concreti: la riforma del fisco, gli aiuti alle famiglie, uno Stato che torna a occuparsi delle periferie. Noi faremo con senso di responsabilità quello che serve all’Italia, non per cercare il consenso facile e immediato — come in passato altri con i dannosi superbonus e reddito di cittadinanza — ma con misure utili alla crescita della nazione. E vorremmo essere giudicati per quello che avremo realizzato in 5 anni».